Se il futuro del lavoro parte dalle persone, è fondamentale parlare delle nuove forme organizzative possibili e dei diversi approcci alla trasformazione organizzativa delle aziende.
Dopo l’interessante webinar «Future of work: le persone al centro della trasformazione organizzativa» (puoi rivederlo qui) tenutosi qualche settimana fa, abbiamo deciso di riprendere le fila del discorso intervistando proprio il nostro ospite Stefano Besana, Digital & Future of Work Lead di EY e autore di «Future of work: le persone al centro» (Hoepli).
In questa intervista abbiamo approfondito la genesi del suo libro e quali sono le barriere che hanno impedito e impediscono l’efficace trasformazione delle organizzazioni aziendali.
Ciao Stefano, cosa ti ha spinto a scrivere «Future of work: le persone al centro» e perché ritieni possa essere utile per le aziende d’oggi?
Il libro prova a essere un manuale e assieme una sintesi dei processi che stanno rivoluzionando, ormai da qualche anno, il mondo delle organizzazioni; 14 anni di lavoro con le maggiori aziende italiane e internazionali mi hanno spinto a domandarmi se immaginare un modo di lavorare migliore, meno burocratizzato, meno orientato alla logica di comando e controllo, con maggiore riflessività, agenticità, consapevolezza, senso e direzione fosse possibile.
«Future of Work: le persone al centro» prova a fare proprio questo, raccogliere esperienze, casi d’uso, idee e contributi da diversi autori per provare a tracciare una rotta verso un lavoro maggiormente sostenibile e inclusivo, maggiormente a misura d’uomo.
Ci racconti qualche caso di successo di aziende che sono riuscite a mettere le persone al centro del loro core business?
Fortunatamente sono molti e si intrecciano tra loro su differenti piani. Alcune aziende hanno scelto di rivedere il proprio modello di servizio al consumatore finale; altre di trasformare radicalmente la propria esperienza interna; altre ancora di ragionare su tecnologie che abilitassero modalità maggiormente collaborative e inclusive; altre ancora hanno scelto di indirizzare equamente tutte queste dimensioni.
Sono però tutte accomunate da due aspetti centrali all’interno della trasformazione verso il futuro del lavoro:
- il purpose, il senso e la direzione del cambiamento. Si tratta di aziende che hanno uno scopo che va ben al di sopra di generare ritorni per i propri stakeholder, ma che mira a generare impatti significativi per l’intera comunità in cui sono inserite.
- la capacità di fare sistema. Sono moltissimi i casi di imprese che hanno saputo abbattere le barriere e i silos organizzativi, come anche “seppellire l’ascia di guerra” nei confronti dei competitor.
Quali ritieni siano le barriere che hanno impedito e impediscono l’efficace trasformazione delle organizzazioni?
Moltissime. Budget non correttamente allocati, incapacità di visione da parte dei leader, ostacoli tecnologici – soprattutto legati all’adoption, comunicazioni non efficaci. Come sostiene Lewin – psicologo esperto delle teorie dei gruppi sociali – ogni cambiamento, per quanto semplice, porta con sé una naturale risposta contraria che cerca di rallentarlo e di ripristinare lo status quo. Scardinare questa naturale inclinazione dell’essere umano non è semplice e richiede tempo, investimenti e volontà comune nel perseguire un obiettivo.
Come sostiene Richard Buckminister Fuller: “Non si cambiano mai le cose combattendo contro la realtà esistente. Per cambiare qualcosa, bisogna costruire un modello nuovo che renda obsoleto quello vecchio.”
Esiste, però, un aspetto cruciale su tutti: la cultura aziendale. Cambiare la cultura organizzativa è complesso, richiede tempo e interventi mirati, come già ha messo in evidenza Schein un trentennio fa.
Il futuro è per definizione in continuo cambiamento e nonostante il tuo libro sia fresco di stampa (ottobre 2021), ti va di farci qualche previsione per questo 2022 appena iniziato?
Credo sia fondamentale per le aziende ragionare davvero su nuovi modelli organizzativi, le occasioni che, nel nostro paese e in tutta Europa, si stanno aprendo sono enormi: i finanziamenti del PNRR e la discontinuità che si è creata sono un punto di rottura con le modalità di lavoro del passato.
È un’occasione davvero unica per ripensare il sistema operativo delle nostre imprese, per diventare davvero sostenibili, per costruire valore per l’intera società di cui le aziende devono essere motore. Infatti è possibile per le imprese di tutto il mondo diventare quel generatore di senso e di scopo di cui tanto le persone sono alla ricerca. È questo il futuro del lavoro.
Serve coraggio: la strada è già tracciata.